martedì 23 gennaio 2018

TRUST PER DISABILI

TRUST PER DISABILI

Fino a metà giugno 2016 il trust in Italia ha sempre fatto riferimento al diritto internazionale: ma con l’approvazione della legge sul “dopo di noi”, per la prima volta una legge italiana sul trust ha una normativa interna.

La legge n.112/2016  c.d. "Dopo di noi", entrata in vigore il 25 giugno 2016 è stata emanata per favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità grave, per il raggiungimento dei quali il legislatore ha previsto significativi sgravi fiscali alla costituzione del trust in favore dei disabili.

Con l’espressione “dopo di noi” ci si riferisce al periodo di vita delle persone disabili successivo alla scomparsa dei genitori/familiari. La disabilità dei figli, infatti, da un lato impedisce loro la gestione diretta del patrimonio dopo la scomparsa dei genitori, e dall’altra rende necessarie nei loro confronti forme di assistenza articolate, continuative e spesso specialistiche.

In questo contesto il trust per disabile ha proprio nella duttilità una delle sue caratteristiche principali, che lo rende perfetto per rispondere in maniera dinamica ed efficace a qualsiasi problematica legata alla esigenze materiali, economiche e patrimoniali del disabile.

Nel trust, semplificando, i genitori possono designare come amministratore del patrimonio (o parte di esso) una associazione specializzata nella cura e tutela di persone che soffrono la patologia del figlio: in questo caso, assicurerebbero le proprie risorse a un soggetto competente e consapevole del loro utilizzo orientato esplicitamente al benessere della persona.

Oppure ancora (e forse questo potrebbe essere il modello più corretto e funzionale), possono nominare amministratore una persona di loro fiducia.  Rispetto alle altre forme di tutela, nel trust per disabile cè una gestione patrimoniale a favore del disabile più snella ed efficace, essendo residuale l'interferenza dell'autorità giudiziaria.

Come dicevamo, questo è solo il punto di partenza: lo strumento del trust permetterà poi, in corsa, di modulare la gestione del patrimonio a seconda delle esigenze che sopraggiungeranno e che potrebbero mutare anche sensibilmente, soprattutto nel caso in cui le aspettative di vita dei figli dopo la scomparsa dei genitori sono molto lunghe.

Dal punto di vista dei costi, il trust non è uno strumento economico attesa la sua flessibilità e attitudine ad essere costituito su misura secondo le esigenze specifiche del disabile.

Di contro il trust per disabile gode di numerosi benifici fiscali. In sintesi:
- la cancellazione dell’imposta di successione e donazione per i genitori, ad esempio per la casa di proprietà;
- la riduzione di aliquote e franchigie e le esenzioni per l’imposta municipale sugli immobili;
- l’innalzamento dei parametri sulla deducibilità per le erogazioni liberali e le donazioni;
- la detraibilità delle spese per le polizze assicurative, con l’incremento da 530 a 750 euro della detraibilità dei premi per le assicurazioni sul rischio morte;
- agevolazioni tributarie per trasferimenti di beni e di diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito nel caso di istituzione di trust in favore di persone con disabilità grave.

Passiamo nello specifico ad esaminare la fiscalità di questo nuovo e particolare istituto giuridico.

IMPOSTE INDIRETTE
Atto istitutivo di Trust: è soggetto all’imposta fissa di registro, ovvero ad € 200,00
Atto dispositivo: è soggetto all’imposta sulle successioni e donazioni. Ai fini della determinazione delle aliquote e delle franchigie è necessario analizzare il rapporto intercorrente tra Disponente e Beneficiario . Il trasferimento che ha per oggetto aziende , azioni , quote sociali , e che sia rivolto a favore di discendenti, non è mai soggetto ad imposte indirette, qualunque sia il valore. Se Beneficiario è persona disabile, riconosciuta grave ai sensi della Legge 104/1992, la franchigia è elevata ad  €  1.500.000,00  indipendentemente dal grado di parentela .
Se il trasferimento ha come oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari , sono dovute le imposte catastali(1%) ed ipotecarie (2%). Se si tratta di “prima casa” , tali imposte sono pari ad  € 50,00 ciascuna.

Trasferimento dal Trustee ai Beneficiari:
Non si realizza presupposto impositivo. Difatti l’imposta è stata assolta al momento della costituzione del vincolo e la circolare in esame applicando il divieto di doppia imposizione garantisce l'impiego effettivo dell’istituto.
Facciamo un esempio:
Istituzione di un Trust  a favore di un discendente disabile per un valore di € 1.300.000,00: non vi sono imposte indirette da pagare poiché la franchigia è di € 1.500.000,00 per ogni Beneficiario che sia diversamente abile ai sensi di legge, indipendentemente dal grado di parentela fra Disponente e Beneficiari. Se il  valore  dovesse essere pari ad  € 2.000.000,00, si  dovrebbe pagare l’imposta del 4% ( operante in caso di discendenti in linea retta) solo sull’eccedenza rispetto alla franchigia ovvero il 4 % su  € 500.000,00.

IMPOSTE DIRETTE:
Il Trust è soggetto passivo IRES. A tal riguardo si deve distinguere fra:
a) Trust opachi, nei quali le imposte gravano sul Trust stesso e sono assolte dal Trustee. La successiva assegnazione ai Beneficiari non determinerà presupposto imponibile , in ossequio al principio che vieta le doppie imposizioni
b) Trust trasparenti, nei quali i redditi sono imputati direttamente ai Beneficiari (e non al Trust) e tassato secondo le aliquote personali del Beneficiario. Il reddito così imputato ha natura di reddito di capitale.
c) Trust misti, nei quali parte del reddito è imputato al trust e parte ai Beneficiari

L’atto istitutivo del trust dunque è assai flessibile e si presta a tutelare gli interessi più disparati del disabile in regime di agevolazione fiscale.

mercoledì 17 giugno 2015

PROROGATIO IMPERII: L'amministratore di condominio prescinde dal mandato



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Prorogatio: si resta in carica anche dopo la scadenza del mandato


Facciamo chiarezza sull’annosa questione dei poteri dell’amministratore di condominio a mandato finito. 

L’amministratore dimissionario o revocato, anche se cessato dall’incarico, è comunque tenuto «ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi» (articolo 1129, comma 8 c.c. del Codice civile).

Tale norma, cambiata dalla legge 220/2012, si applica in tutti i casi di cessazione del rapporto di mandato per effetto di rinuncia, mancata conferma, revoca assembleare e/o giudiziaria (articolo 71 bis, lettere a) - e) delle Disposizioni di attuazione del Codice civile).

Le innovazioni apportate dalla L. 220/2012 non hanno dunque scalfito i principi posti dalla Suprema Corte di Cassazione per giustificare la prorogatio: (i) carattere perenne e necessario dell’ufficio di amministratore (ii) ed interesse del condominio alla continuità dell’amministratore.

Con il nuovo articolo 1129 del Codice civile non solo è stata prevista la continuità dell’attività dell’amministratore cessato (in attesa di nomina del subentrante), ma è stato anche ridotto il suo ambito di operatività, potendo compiere soltanto attività urgenti e non pregiudizievoli agli interessi del condominio, addirittura senza compenso. Solo quelle attività rientranti nell’articolo 1129 producono effetti nei confronti del condominio. Al di là di tali limiti, l’atto resta a carico del mandatario salvo ratifica da parte dell’assemblea (articolo 1711 del Codice civile).

Si tratta probabilmente di una norma che vuole “responsabilizzare” il condominio, in tutte e due le sue componenti: evitare il cristallizzarsi di una situazione di illegalità, stimolare i condomini a nominare un nuovo amministratore per sbloccare una gestione che rimarrebbe paralizzata a pochi atti, costringere l’amministratore a convocare assemblea per la nomina del suo successore dovendo diversamente lavorare senza compenso, offrendo a entrambi, in caso di impossibilità di nomina da parte dell’assemblea, a rivolgersi al giudice per la nomina di un amministratore giudiziario (articolo 1120, comma 1 del Codice civile).

domenica 3 maggio 2015

Anatocismo bancario è illegittimo dal 1 gennaio 2014 (Tribunale di milano)



L’anatocismo bancario è una pratica illegittima per il Tribunale di Milano (ord. 25.03.2015 e 3.04.2015)


Il Tribunale di Milano ha vietato agli istituti di credito coinvolti di dare corso a qualsiasi ulteriore forma di anatocismo degli interessi passivi, già in essere o da stipulare, con decorrenza dal primo gennaio 2014.

Infatti nell’attuale versione del testo unico bancario, come modificato dalla legge di stabilità approvata a fine 2013, vieta l’anatocismo bancario. Si legge, infatti, nella norma che “gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori”. Tale disposizione è già in vigore dal primo gennaio 2014.

Ne consegue dunque che a partire da tale data gli interessi anatocistici percepiti dalle banche sono illegittimi e, su richiesta del cliente, devono essere interamente restituiti.

mercoledì 29 aprile 2015

Estratto di ruolo: è possibile impugnare gli estratti ruolo in assenza della cartella di pagamento




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Estratto di ruolo:  E’ possibile impugnarlo autonomamente ?


Non sembrerebbero sussistere dubbi circa l'impugnabilità del ruolo (oltre alle relative cartelle di pagamento), atteso che lo stesso è annoverato fra gli atti impugnabili innanzi alla giurisdizione delle Commissioni tributarie di cui all'art. 19 - D.Lgs. n. 546/92.

Invero, l'art. 19, sopra citato, rubricato “Atti impugnabili e oggetto del ricorso”, al comma 1 così recita: «Il ricorso può essere proposto avverso: a) …; d) il ruolo e la cartella di pagamento; …..».

Sul punto inoltre è intervenuta la Suprema Corte con le sentenze n. 724 del 19/01/2010, n. 15946/2010 e n. 27385 del 18/11/2008 dove in modo ineccepibile ha precisato che «… In tema di contenzioso tributario, va riconosciuta la possibilità di ricorrere alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, atteso l’indubbio sorgere in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, “ex” art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale (ormai allo stato esclusiva del giudice tributario), comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico (Cass. 27385/2008, cfr. in ordine alla sussistenza dell’interesse ad impugnare anche S.U. 11087/2010); considerato che assai recentemente è stato statuito che anche l’estratto di ruolo può essere oggetto di ricorso alla commissione tributaria, costituendo esso una parziale riproduzione del ruolo, cioè di uno degli atti considerati impugnabili dall’art. 19 del d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546». (Cass. del 19/01/2010 n. 724).

Allo stesso modo nella recente sentenza 3 febbraio 2014, n. 2248 la diretta impugnazione dell’estratto di ruolo, secondo tale orientamento, troverebbe legittimazione proprio nella formazione del ruolo, ovvero “l’atto con cui l’Amministrazione concretizza nei confronti del contribuente una pretesa tributaria definita, compiuta e non condizionata”.

Né è sostenibile che il ricorso avverso al ruolo sia una mera azione preventiva di accertamento negativo del tributo, poiché ciascun estratto di ruolo porta l’indicazione della notifica delle relative cartelle di pagamento e, qualora tali dati non corrispondano alla realtà in quanto le cartelle non sono state effettivamente notificate ovvero il procedimento notificatorio è stato irrituale, sussiste l’interesse processuale del contribuente, ex art. 100 c.p.c., il quale deve potersi opporre e impugnare gli estratti di ruolo e gli atti che lo stesso presuppone al fine di poterne chiedere l’annullamento. 

E’, inoltre, diritto positivo (argomenta ex art. 19, comma 1, lett.) d - D. Lgs. n. 546/1992) che il ruolo e la cartella di pagamento, siano atti impugnabili, per come evincibile anche dall’art. 39, co. 1 - Dpr. n. 602/1973 (Riscossione Imposte) rubricato “Sospensione amministrativa della riscossione”, secondo il quale “IL RICORSO CONTRO IL RUOLO DI CUI ALL’ART. 19 DEL D. LGS. 31 DICEMBRE 1992, N. 546, non sospende la riscossione, tuttavia, l’ufficio ».

Si aggiunga inoltre che la non impugnabilità degli estratti di ruolo porterebbe alla paradossale conseguenza per cui il contribuente che viene a conoscenza di una notifica errata e/o inesistente effettuata nei suoi confronti, rimarrebbe esposto agli effetti della presupposta notificazione (azioni esecutive, interessi di mora che continuano a prodursi, ecc..), senza tutela giudiziaria, trovandosi costretto ad attendere la notifica dell’atto successivo sicuramente più invasivo (non di rado accade che il concessionario, che dà per scontata la notifica della cartella, procede, ex art. 72 bis del d.p.r. n. 602/73, alla notifica di un atto di pignoramento nei confronti del contribuente).

Non solo; a seguito dell’impugnazione dell’atto successivo (atto di pignoramento presso terzi, avviso di intimazione, ecc…) il contribuente rischierebbe l’inammissibilità del ricorso con il quale contesti l’omessa notifica della cartella, ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 546/92, ove il Concessionario riesca a dimostrare che il ricorrente era venuto a conoscenza della notifica della cartella a seguito della richiesta dell’estratto di ruolo.

Pur tuttavia in giurisprudenza esiste un orientamento di segno contrario (sentenze nn. 6395/2014, 6610/2013, 6906/2013 e 139/2004), che considera l’estratto di ruolo non autonomamente impugnabile sulla base della natura di “atto interno” del ruolo, con la conseguenza che lo stesso può essere ex sé impugnabile solo in via eccezionale, e precisamente (i) quando i vizi del ruolo, per effetto di specifiche norme di legge - quale l’art. 17 del D.P.R. n. 602/1973 con cui si fissano i termini per la iscrizione - si riflettono sul rapporto tributario; (ii) quando il ruolo sia stato notificato autonomamente rispetto alla cartella, assurgendo così alla funzione di atto impositivo.

martedì 28 aprile 2015

Plusvalenza immobiliare in cartella esattoriale




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PLUSVALENZE IMMOBILIARI

 

Evoluzione della disciplina tributaria in tema di rilevanza delle plusvalenze immobiliari

Con il termine “plusvalenza” si intende la differenza tra il valore attuale di un bene ed il suo costo d'acquisizione.  Per “bene” si intende qualunque cosa commerciabile,  purché diversa dal denaro/moneta per le seguenti ragioni: la svalutazione monetaria (in tal caso ciò che muta non è il valore del bene ma la sua espressione monetaria), le favorevoli condizioni di mercato e la diversa destinazione del bene (in tali casi aumenta il valore del bene e solo come conseguenza aumenta anche la quantità di moneta che lo rappresenta).
Mentre in passato il legislatore aveva elaborato la nozione di intento speculativo quale criterio residuale di identificazione di ulteriori categorie di redditi altrimenti soggetti ad imposta, la disciplina contenuta negli artt. 81 e ss. (ora 67 e ss.) del nuovo T.U.I.R., contempla invece una casistica tassativa di singole fattispecie da assoggettare ad imposta, quali redditi diversi, al di fuori delle quali non è configurabile alcuna ulteriore ipotesi di plusvalenza tassabile.

Le plusvalenze assoggettabili ad imposta sostitutiva. Profili soggettivi

Per ciò che attiene al profilo soggettivo, in primo luogo occorre osservare che, essendo le ipotesi evocate dal comma 467 quelle di cui all'art. 67, comma 1, lett. b) del T.U.I.R., e cioè - come si è detto -quelle classificate come redditi diversi, la disciplina recata dal comma 467 si rende applicabile alle sole cessioni che non producano redditi viceversa da assoggettare ad imposta quali redditi di capitale, ovvero conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: così dispone lo stesso art. 67.
Conseguentemente, restano esclusi dalla disciplina:
1. gli imprenditori individuali relativamente alle cessioni di beni immobili che costituiscano beni relativi all'impresa, ai sensi dell'art. 65 T.U.I.R., e, perciò, i beni merce, i beni strumentali per natura o per destinazione ed altri beni (patrimoniali), ove - questi ultimi - siano indicati nell'inventario redatto ai sensi dell'art. 2217 c.c., ovvero, per le imprese minori, nel registro dei beni ammortizzabili o secondo le modalità previste dall'art. 66, coma 2, del T.U.I.R.;
2. le società e gli enti commerciali di cui all'art. 73, comma 1, lett. a) e b) T.U.I.R., in quanto i redditi derivanti dalla cessione a titolo oneroso, da parte di costoro, di beni immobili producono il realizzo di ricavi (cfr. art. 85 T.U.I.R.) o di plusvalenze (cfr. art. 86 T.U.I.R.);
3. gli enti non commerciali per ciò che attiene alla cessione di immobili relativi all'impresa eventualmente da essi esercitata.

Le plusvalenze assoggettabili ad imposta sostitutiva. Profili oggettivi

Il legislatore ha inteso individuare analiticamente le fattispecie in ordine alle quali trova applicazione la possibilità di opzione per la nuova imposta sostitutiva.
Presupposto dell'imposizione ex art. 67 T.U.I.R. è l'onerosità della cessione.
Circa tale requisito (l'onerosità della cessione), si rileva che esso ricorre in ogni ipotesi in cui la cessione non avvenga mortis causa o a titolo di donazione, e, quindi, oltre che nei tradizionali negozi di vendita, permuta, conferimento in società, datio in solutum, transazione, ecc., anche nel caso di cessione gratuita ma non donativa dell'immobile plusvalente.
Ai sensi, poi, dell'art. 9, comma 5, T.U.I.R., deve osservarsi che, ai fini delle imposte sui redditi, e quindi - conseguentemente - anche agli effetti delle imposte sostitutive di queste ultime, le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti titolo oneroso che importino costituzione o trasferimento di diritti reali.
Per questa ragione, la cessione onerosa della nuda proprietà e quella dell'usufrutto sono da considerarsi comprese nella previsione dell'art. 67, comma 1, lett. b) del T.U.I.R., mentre, per espressa disposizione, la cessione dell'usufrutto (evidentemente da parte dell'usufruttuario) costituito dal nudo proprietario realizza la diversa ipotesi impositiva di cui alla successiva lett. h) dello stesso articolo.
Sempre con riferimento ai profili oggettivi, viene poi ad evidenza l'ipotesi, contemplata dall'art. 67 del T.U.I.R., di assoggettamento ad imposta della plusvalenza realizzata mediante la cessione di beni (fabbricati) costruiti nel quinquennio, e, più precisamente, l'ipotesi di ricostruzione di fabbricato andato distrutto (fattispecie non considerata dalla norma).
A profili di più incerta interpretazione dà poi luogo il caso in cui il bene la cui cessione sia, in ipotesi plusvalente, pervenga a titolo originario, e cioè per usucapione.  E’ preferibile l’opinione che enfatizza la locuzione «in ogni caso» che introduce la seconda parte della cennata lett. b), e la cessione sarebbe per l'appunto comunque da assoggettare a tassazione, e, per determinare il prezzo di acquisto, dovrebbe farsi riferimento al valore dichiarato o liquidato del bene usucapito quale risultante dalla registrazione della sentenza dichiarativa di usucapione (C.M. 31 marzo 2003 n. 78).

 

L'imposta sostitutiva. Gli effetti dell'opzione in relazione all'attività di accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria

Per effetto dell'opzione:
a. il cedente resta escluso dai controlli nell'ambito delle vendite immobiliari in base alle norme contenute nel titolo IV del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e cioè dalle verifiche tese a contrastare fenomeni di evasione cui, per effetto del già citato comma 495, l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza sono chiamati a destinare quote significative delle loro risorse;
b. il cedente non è soggetto all'applicazione del disposto del citato art. 38, comma 3, del D.P.R. 600/1973, secondo cui «l'incompletezza, la falsità e l'inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione, salvo quanto stabilito dall'art. 39, possono essere desunte dalla dichiarazione stessa, dal confronto con le dichiarazioni relative ad anni precedenti e dai dati e dalle notizie di cui all'articolo precedente anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti».
Le esclusioni si riferiscono, naturalmente, solo all'operazione di cessione per la quale sia stata esercitata l'opzione, dovendosi ragionevolmente ritenere che l'Amministrazione finanziaria conservi, nella sua interezza, ogni più ampio potere di verifica e di accertamento con riferimento ad eventuali ulteriori operazioni e, più generalmente, con riguardo all'intera "posizione fiscale" del contribuente.
Ulteriore indubbio vantaggio per il contribuente, poi, è la misura dell'imposta.
Infatti, ancorché non precisato nel comma 496, che nulla dispone in ordine alla determinazione della base imponibile sulla quale applicare l'imposta sostitutiva del 12,50%, deve pacificamente ritenersi che quest'ultima non vada applicata sul corrispettivo dichiarato in atto ma sulla base imponibile determinata secondo le modalità indicate nell'art. 68 del T.U.I.R..
A fronte del regime ordinario relativo a tale categoria di reddito, che, come è noto, concorre alla formazione del reddito complessivo del contribuente che realizza la plusvalenza, nonché in relazione alle aliquote attualmente vigenti per le imposte sui redditi (la più bassa delle quali, allo stato, è del 23% per le persone fisiche, le società semplici e per i soggetti non imprenditori in genere), l'aliquota del 12,50% rappresenta un rilevante vantaggio per il contribuente: salvo casi marginali, infatti, quali, a titolo esemplificativo, l'eventuale credito o l'eventuale diritto a deduzioni e/o detrazioni, la misura dell'imposta sostitutiva risulta inferiore, nella generalità delle ipotesi, all'aliquota media dell'imposta sui redditi.

 

La determinazione della base imponibile secondo le regole dell'art. 68 del T.U.I.R.

Come già osservato, le regole per la determinazione della base imponibile dell'imposta sostitutiva sono quelle ordinariamente disposte dal T.U.I.R., art. 68, per l'assoggettamento ad imposta delle plusvalenze indicate nel precedente art. 67.
Salvo quanto si dirà, in appresso, relativamente alle modificazioni recate alla normativa dalla legge n. 248 del 2006 in relazione alla provenienza per donazione del bene plusvalente, si può, pertanto, offrire il seguente schematico quadro.
Immobili diversi dai terreni edificabili:
plusvalenza = corrispettivo percepito - (costo di acquisto o di costruzione + altri costi inerenti).
Terreni edificabili acquistati a titolo oneroso:
plusvalenza = corrispettivo percepito - (prezzo di acquisto + altri costi inerenti, entrambi rivalutati per indice Istat).
Terreni edificabili acquistati per donazione o mortis causa:
plusvalenza = corrispettivo percepito - (valore dichiarato o accertato in atto o in dichiarazione + costi inerenti, entrambi rivalutati per indice Istat in forza della nota sentenza della Corte Costituzionale 9 luglio 2002, n. 328).

Cessione di contratto preliminare : trattamento fiscale delle plusvalenze
Con la Risoluzione 6/E del 19 gennaio 2015 l’Agenzia delle entrate ha chiarito che nel caso in cui il promissario acquirente ceda a terzi il contratto preliminare di acquisto di un immobile, il corrispettivo percepito, ai fini della tassazione dell’eventuale plusvalenza (ovvero della differenza esistente tra il corrispettivo percepito per la cessione del contratto e l’ammontare dell’anticipo/anticipi versato/versati al promittente venditore), rientra tra i redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lettera l) T.U.I.R. (corrispettivo percepito per obbligo di non fare). 


La giurisprudenza tributaria in materia di plusvalenze immobiliari
Con la sentenza n. 17653/2014 la Corte di Cassazione chiarisce che per quanto concerne l’imposizione da applicare nella cessione di immobile sulla plusvalenza realizzata rileva il valore finale del bene.  Questo significa che la plusvalenza, ovvero la differenza tra quanto calcolato per l’imposta di registro e il corrispettivo dichiarato nell’atto, costituisce una maggiore componente positiva di reddito realizzata dai venditori. Prendendo in considerazione per la plusvalenza ai fini IRPEF il valore finale dell’immobile, spiegano i giudici supremi, fa sì che non venga leso il diritto del contribuente, al quale viene lasciata libertà di contestare la somma rilevata.
Con la sentenza n. 245/2014 la Corte di Cassazione in tema di accertamento delle imposte sui redditi, stabilisce che ove sia contestata una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione a titolo oneroso di un’unita’ immobiliare, l’onere di fornire la prova che l’operazione e’ parzialmente (quanto al prezzo di vendita) simulata incombe all’Amministrazione finanziaria, la quale adduca l’esistenza di un maggiori ricavi.

domenica 22 marzo 2015

Avvisi accertamento Agenzia delle Entrate -- nomina illegittima dei funzionari




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A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015, che ha dichiarato illegittimo il D.L. n. 16/2012 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), la nomina dei funzionari di AdE che hanno firmato gli atti di accertamento deve ritenersi nulla con effetto retroattivo. Ne consegue che, alla data in cui sono stati formati e firmati gli atti prodromici, i funzionari erano privi dei poteri per poter impegnare e rappresentare l’Ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate.

La sentenza di mercoledì della Corte Costituzionale, con cui sono state annullate le nomine di 1.200 funzionari dell'AdE al ruolo di dirigente per assenza di pubblico concorso, pone il problema dei possibili effetti sugli atti di accertamento firmati da tale personale privo di poteri.

Ora, di conseguenza, potrebbero risultare nulle anche gli avvisi di accertamento firmati dagli stessi, poiché si tratterebbe di atti illegittimi provenienti da soggetti non legittimati.

Cartelle esattoriali Equitalia sono nulle!




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A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015, che ha dichiarato illegittimo il D.L. n. 16/2012 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), la nomina dei funzionari di AdE che hanno firmato gli atti di accertamento deve ritenersi nulla con effetto retroattivo. Ne consegue che, alla data in cui sono stati formati e firmati gli atti prodromici, i funzionari erano privi dei poteri per poter impegnare e rappresentare l’Ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate.

La sentenza di mercoledì della Corte Costituzionale, con cui sono state annullate le nomine di 1.200 funzionari dell'AdE al ruolo di dirigente per assenza di pubblico concorso, pone il problema dei possibili effetti sugli atti di accertamento firmati da tale personale privo di poteri.

Ora, di conseguenza, potrebbero risultare nulle anche gli avvisi di accertamento firmati dagli stessi, poiché si tratterebbe di atti illegittimi provenienti da soggetti non legittimati.